Ci vorrebbero scuole gestite da genitori, docenti e alunni

Mentre continuano le polemiche del mondo sindacale e dei docenti alla riforma sulla scuola presentata dal governo, con il segretario generale della Uil Carmelo Barbagallo che parla addirittura di “preside podestà”, Andrea Ichino, docente di Economia politica all’università di Bologna, dalle colonne del Corriere della Sera ieri rilanciava: «All’estero si osserva una tendenza a concedere un’autonomia ampia alle singole istituzioni scolastiche nella gestione delle risorse (soprattutto quelle umane) e dell’offerta formativa, in Italia il Governo Renzi non ha avuto abbastanza coraggio nell’abbandonare la strada del dettare le regole dal centro».
Ichino, perché questa accusa di eccessiva timidezza al governo?
Intendo dire che il preside-sindaco, come lo ha chiamato il premier Renzi, o “podestà” per dirla à la Bargabagallo, cioè il dirigente con larghi poteri, è una delle forme di autonomia scolastica possibile, ma vi sono altre forme di governance che vanno nella stessa direzione.
Lei quale avrebbe preferito?
Ci sono anche, ad esempio, le scuole gestite da cooperative di insegnanti, oppure da consigli di istituto che al loro interno abbiano sia genitori che insegnanti con poteri simili o diversi. È una possibilità, come anche quella delle scuole gestite da professionisti esterni, come alcuni dei modelli di Charter schools negli Stati Uniti, le Kipp. Come nella proposta che abbiamo avanzato insieme a Guido Tabellini nell’ e-book Liberiamo la scuola, le Charter schools sono un modello da tenere in considerazione. Negli Stati Uniti hanno avuto effetti positivi soprattutto nei quartieri più disagiati delle grandi città. Si tratta di scuole autogestite da comitati di genitori, docenti o enti no profit, che contrattano con l’autorità scolastica gli obiettivi del progetto educativo. Ecco, personalmente avrei preferito che il governo italiano avesse il coraggio di lasciare più libertà e autonomia anche in termini di modelli di governance delle scuole. Forse gli insegnanti si sarebbero opposti di meno se tra le altre anche la prospettiva di scuole gestite da cooperative di insegnanti fosse stata possibile.
Lei avanza una proposta per la pubblica istruzione simile a ciò che di positivo già avverrebbe nella sanità pubblica: può spiegarci meglio cosa intende?
Come nelle Charter schools, presidi e genitori e docenti o enti esterni potranno formare dei comitati e candidarsi alla gestione di una scuola: a mio avviso proporrei che però non fosse lo Stato a contrattare il programma, che dovrebbe invece essere sottosposto all’approvazione di elettori definiti in rapporto al bacino di utenza della scuola. Una volta che il programma venisse approvato dalla maggioranza, il comitato avrebbe la possibilità di gestire la scuola in totale autonomia sia riguardo al personale, per le assunzioni o le retribuzioni dei docenti, sia riguardo l’offerta formativa e le attrezzature necessarie.
Dopo le manifestazioni del 5 maggio, Renzi ha dichiarato di essere pronto a dialogare, ma che la scuola non è in mano ai sindacati: è disposto a dare qualche contrappeso, ma il “preside-sindaco” rimarrebbe, e soprattutto rimarrebbe la sua autonomia nella decisione dei docenti da assumere. Pensa sia realistico questo percorso?
Il progetto della “Buona scuola” mi sembra incoerente riguardo al tema dell’autonomia dei presidi nelle assunzioni dei docenti. Da una lato si afferma questa autonomia, cosa che io reputo molto positiva, anche se, come dicevo, i presidi sindaci non sono l’unica forma di governance possibile per delegare alle scuole le assunzioni, e magari anche la determinazione delle retribuzioni. Dall’altro lato, però, il Governo intende assumere definitivamente a tempo indeterminato migliaia di precari, senza alcun controllo sulla loro qualità come insegnanti. Mi chiedo se sarà possible per un preside non chiamare alcuno di questi precari, e assumerne altri.
Cosa pensa succederà del piano straordinario di assunzioni promesso dal governo a 100 mila docenti precari? A settembre secondo lei li vedremo davvero finalmente con una cattedra?
Non so rispondere a questa domanda: se anche accadesse, però, non direi “finalmente”. Questi precari hanno tutti i diritti di questo mondo ad essere compensati dallo Stato italiano perché sono stati presi in giro. Ma questo non significa che i loro diritti siano superiori a quelli degli studenti che necessitano di ottimi insegnanti nelle materie che a loro servono davvero. Non posso che pormi una domanda. Se mancano laureati in matematica e inglese disposti a insegnare, è giusto o è nell’interesse degli studenti, sostituirli con laureati in scienze e francese, solo perché questi ultimi sono precari per colpa della inefficiente gestione del reclutamento da parte dello Stato?
Articolo pubblicato su Tempi

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