Manuale di sopravvivenza al tempo del gender (VII capitolo)

PER LE FAMIGLIE: Per la libertà di educazione, è necessaria una presa in carico di responsabilità innanzitutto da parte delle famiglie, che devono chiedere nel dettaglio alle scuole in cui iscrivono i propri figli cosa è contenuto nei POF (Piano dell’Offerta Formativa), e devono essere bene attente alle attività extracurricolari, cioè quelle che non fanno parte del programma scolastico ministeriale ma sono iniziative delle singole scuole.
Conoscere il POF in dettaglio è un diritto, e non una gentile concessione da parte della scuola. Per le attività extracurricolari, è bene ricordare che gli studenti minorenni possono usufruirne solo a seguito di consenso esplicito dei genitori.x
A questo proposito, è di grande aiuto la circolare ministeriale emanata dal Ministro Giannini, quella ottenuta dai parlamentari NCD, che avevano subordinato il loro voto positivo alla legge sulla “buona scuola” proprio alla presenza di una circolare che chiarisse l’interpretazione del discusso comma 16 del ddl: niente gender nella scuola, necessario il consenso esplicito dei genitori per le attività extracurricolari dei minori, necessaria la condivisione del percorso formativo nelle scuole per le attività curricolari. Qua il testo completo, che, onestamente, è ottimo.
Eppure i parlamentari che hanno ottenuto dal ministro la circolare sono stati contestati da molti dei manifestanti di P.zza San Giovanni, che hanno ritenuto il documento ministeriale del tutto irrilevante ai fini della tutela della libertà di educazione. Ritengo sia una valutazione sbagliata, e anche pericolosa.
Fermo restando che, viste le condizioni di voto – fiducia sul testo del ddl, ovvero caduta del governo se la “buona scuola” non avesse avuto la maggioranza dei voti – la circolare era l’unico obiettivo concreto realmente ottenibile (l’alternativa era far cadere il governo, e dobbiamo considerare se le conseguenze che ne deriverebbero sono per noi favorevoli o no), è bene chiedersi cosa succederebbe se nella scuola arrivasse una circolare in senso opposto: per esempio se si invitasse a celebrare la giornata internazionale per la famiglia (esiste, l’ha indetta l’ONU con la risoluzione 47/237 del 20 settembre 1993, il 15 maggio di ogni anno) ricordando esplicitamente che esistono tante famiglie, tutte diverse e tutte degne di rispetto perché quel che conta è l’amore.
Chi direbbe che una circolare non conta? Al contrario, sono sicura che proprio i manifestanti del 20 giugno scorso sarebbero i primi a protestare, e giustamente. Una circolare è un documento che si può utilizzare; tutto sta, appunto, a utilizzarlo, e non lasciarlo cadere nel vuoto. Se il ministro avesse emanato un atto analogo, ma a favore della comunità Lgbt, pensate che il mondo dell’associazionismo omosessuale avrebbe detto che non ha peso? O pensate che l’avrebbero esaltato in ogni modo, e avrebbero subito cominciato a studiarlo, diffonderlo e a chiederne l’applicazione?
Paradossalmente, il fatto di avere snobbato la circolare o, nel migliore dei casi, averla pubblicamente giudicata inutile, rende ora difficile usarla proprio per lo scopo per cui era stata chiesta, cioè interpretare senza equivoci il senso del famoso comma 16, qualora ce ne fosse bisogno in qualche scuola. Come proporre ai genitori e dirigenti scolastici la circolare della Giannini, dopo averla dichiarata un inutile orpello? In un certo senso, è come aver segato il ramo su cui si è seduti.
Secondo punto. Solitamente nelle attività proposte esistono parole chiave che possono lasciare margini di ambiguità, non per il loro corretto significato letterale, ma per come possono essere interpretate.
Ad esempio è importante capire come vengano eventualmente presentati i concetti di  “discriminazione”, “bullismo”, “stereotipi di genere”, e ovviamente “omofobia”. Attenzione va posta a lezioni e corsi in ambito di tematiche come affettività e sessualità, anche se offerti come informazione sanitaria.
In questi casi un suggerimento può essere quello di chiedere che sia messo a disposizione dei genitori il materiale che verrà mostrato o distribuito ai ragazzi, prima delle lezioni, perché possa essere visionato da chi desidera farlo: in questo modo è possibile evitare equivoci e fraintendimenti.
Non si chieda mai la censura, nelle scuole, quando si discute un tema sensibile, ma un’informazione completa: nel caso in cui vengano offerte ai ragazzi iniziative con un’impostazione che non condividiamo, si chieda sempre la pluralità delle voci e delle opinioni. Non è una gentile concessione, ma un diritto.
Allo stesso modo è importante che i libri a disposizione delle biblioteche scolastiche siano realmente adatti ai minori delle fasce di età che frequentano le scuole, e anche in questo caso deve esserci la possibilità per i genitori, magari mediante i propri rappresentanti di istituto e/o di classe, di poterli visionare prima che siano messi a disposizione ai bambini.
Le famiglie devono capire che non è più il tempo di delegare: è necessario essere presenti a pieno titolo nelle scuole, come rappresentanti dei genitori, sostenendo le associazioni – che già ci sono – di famiglie che si occupano anche di questioni educative, e magari farne altre ancora, anche locali, se necessario, e poi federarsi, perché queste battaglie è difficile combatterle da soli.
E’ poi necessario che ci si attrezzi per essere in grado di capire e giudicare quel che sta succedendo. In poche parole, per fare controinformazione. E dobbiamo dare strumenti ai nostri figli, cominciando a commentare e giudicare insieme quel che accade, quel che si vede alla TV, quel che si legge sui giornali riguardo questo tsunami antropologico che ci sta investendo.
Giudicare insieme i fatti del giorno è la prima cosa da fare insieme ai propri figli, almeno quelli più grandi.
Andrebbero commentate, possibilmente, anche le letture eventualmente proposte a scuola o dagli amici, film e fiction: ma attenzione, solo su richiesta dei figli, senza censure e soprattutto stando attenti a evitare atteggiamenti o forme di controllo ossessivi. I figli devono sapere che possono sempre chiedere un nostro parere, su tutto, serenamente.
Ai più piccoli è importante leggere i classici dell’infanzia, dove le figure maschili e femminili sono tracciate con certezza. Continua a essere valida la vecchia indicazione di non lasciarli mai soli davanti alla TV, neppure nelle ore delle cosiddette fasce protette.
Anche gli insegnanti devono fare la loro parte.
Tutti hanno diritto alla libertà di insegnamento, ma nel rispetto del compito educativo delle famiglie, di tutte le famiglie, a cui non ci si può mai sostituire, e che invece devono sempre essere coinvolte nel percorso educativo e formativo della classe, per quanto possibile.
Niente è neutro, di quel che si insegna, e ci deve essere sempre l’onestà intellettuale di non usare il proprio ruolo per indottrinare.
Molti insegnanti che ho incontrato durante iniziative pubbliche in giro per l’Italia, e che condividevano i timori per la pervasività di quel che abbiamo incluso nella “teoria gender”, hanno raccontato esperienze di difficoltà di comunicazione, quando non di vero e proprio isolamento, sia nei confronti dei colleghi che delle famiglie, quando nelle loro scuole è stato necessario per esempio approvare questa o quella iniziativa, o, peggio ancora, quando qualche collega insegnante delle stesse classi, ha introdotto tematiche o letture “gender-like” .
Fermo restando che andare contro corrente è sempre difficile, e porta spesso a fare esperienze di isolamento o di minacce più o meno velate, e a vivere situazioni a dir poco sgradevoli, anche in questo caso è importante non affrontare da soli i problemi. E’ importante associarsi, o cercare associazioni già esistenti. E’ importante che ci siano momenti di condivisione di giudizio anche fra gli insegnanti, sia a livello di scambi di esperienze personali, che, possibilmente, di seminari di approfondimento di queste tematiche. Chiaramente non esiste un “corso di aggiornamento anti-gender”. Ma potrebbe essere proprio questa un’occasione per affrontare queste problematiche insieme ad altri colleghi interessati, e chissà che non nascano esperienze di nuove forme associative fra insegnanti.
I rapporti con la politica
Per “politica” si intende qui sia l’interfaccia vera e propria con i politici delle istituzioni locali o nazionali, sia una presenza pubblica attiva dei cittadini – si dovrebbe dire della “società civile”, espressione però comunemente usata solo per aggregazioni del genere intellettuale-radical-chic, da cui pare siano rigorosamente escluse le famiglie, specie la noiosa tipologia marito-moglie-figli.
La manifestazione di Piazza san Giovanni è stata straordinaria. E’ stata innanzitutto un’occasione incredibile per rendere consapevoli centinaia di migliaia di famiglie di quel che sta succedendo, e al tempo stesso ha consentito di dare un messaggio forte all’opinione pubblica: una grande richiesta di libertà di espressione e di educazione. Chi è stato in piazza (o comunque chi avrebbe voluto esserci) si sentirà meno isolato e sarà più motivato a essere presente nelle scuole dei propri figli, ma anche a parlare della “questione gender” negli ambienti di lavoro, con i vicini di casa, i parenti, gli amici. E chi  invece è stato indifferente, o non ha condiviso quel gesto, sa comunque che c’è un popolo che si pone di fronte a tutto questo in modo problematico.
Allo stesso modo, è necessario continuare una presenza pubblica in rete e sui media, facilmente accessibili anche ai meno esperti, soprattutto grazie ai social network e alla facilità con cui è possibile aprire pagine fb o blog. L’obiettivo è essere sempre consapevoli dei fatti che avvengono intorno alle tematiche di cui abbiamo parlato: segnalare eventi, diffondere le notizie e soprattutto giudicare i fatti, cercare di capirne il significato e le conseguenze, e fare rete fra persone e realtà associative, piccole e grandi. Se è vero che l’offerta di informazioni, commenti, e news in genere nel web è enorme e spesso fuorviante, è anche vero che la buona qualità di quanto si scrive, prima o poi, emerge sempre. Pure questa è politica, così come lo è l’organizzazione di incontri pubblici su questi argomenti, di qualsiasi dimensione siano.
La politica non è fatta solo di leggi, ma di tanti altri atti che possono incidere nella realtà quotidiana.
Per esempio interrogazioni/interpellanze, cioè quesiti che i rappresentanti politici eletti – sia di maggioranza che di opposizione – possono fare ai politici che governano, a tutti i livelli: consiglieri comunali e regionali ai rispettivi assessori, così come parlamentari di entrambe le camere ai diversi ministri del governo, compreso il presidente del Consiglio. Le risposte sono date a livello istituzionale, e quindi hanno valore, possono essere citate nei confronti di istituzioni terze: si tratta di affermazioni di assessori e ministri negli ambiti di loro competenza.
Chiedere che si faccia chiarezza su fatti avvenuti – per esempio: per quale motivo libri che hanno come protagonisti “due mamme” o “due papà” vengono diffusi nelle scuole materne? Chi ha preso questa decisione? Con quali fondi sono stati finanziati questi acquisti? E via dicendo. Non sempre un quesito serve solo a ottenere una risposta nel fatto specifico; molto spesso il fatto stesso che il quesito sia stato posto diventa una notizia, che serve a portare all’attenzione della pubblica opinione e della stampa i fatti su cui si sono chiesti chiarimenti.
Chi pone quesiti – politici locali o nazionali – spesso lo fa proprio su richiesta dei propri elettori, o comunque di cittadini che in quell’occasione si sono rivolti a lui: per questo è importante il contatto con i nostri rappresentanti nelle istituzioni a ogni livello.
Da questo punto di vista le recenti campagne contro “la casta” dei politici, da un lato, e gli scandali che periodicamente emergono dall’altro, hanno contribuito a un clima di discredito e delegittimazione dei politici in generale, tutti e senza distinzioni. Un clima che non aiuta di certo, perché società civile e politica devono farsi da sponda reciproca. Se la politica, nel senso di rappresentanza dei cittadini, è debole, si crea un vuoto che altri riempiranno, perché in politica il vuoto non esiste. In Italia abbiamo l’esempio di una certa parte di giudici e tribunali che tendono sempre di più a intervenire sul terreno che una volta era riservato alla politica e al legislatore, soprattutto sui temi eticamente sensibili, dal caso di Eluana Englaro all’attacco alla legge 40, fino alle sentenze sul cambio di sesso.
Articolo pubblicato su l'Occidentale

Nessun commento ancora

Lascia un commento